A Pietro Ferrero

2022

Torino. La mattina del 18 dicembre 1922, ai piedi del monumento a Vittorio Emanuele II, viene ritrovato il corpo senza vita di Pietro Ferrero.
Viene sequestrato, picchiato e torturato da esponenti del fascio cittadino. Infine, legato per i piedi ad un camion e trascinato sull’asfalto.
Insieme a lui, in quei giorni, teatro macabro e brutale della rappresaglia del nascente partito fascista, perdono la vita molte altre persone: anarchici, comunisti, socialisti, operai, rappresentanti comunali.
La tecnica utilizzata per gli omicidi è la medesima: il branco, numeroso ed armato, preleva con violenza la vittima, ci gioca e la finisce.
La vicenda di Ferrero è probabilmente quella più scenografica, quella dove il culto della morte e della sua esibizione manifestano visivamente e pubblicamente l’incubo, reale, verso cui il paese prepecipita senza freni.
Troppe belve gareggiano tra loro e in quell’orrido vince la più feroce.
Un cielo greve e pesante, un cielo polveroso, sporco, il cielo di dicembre, quella coperta grigia, soffocante, a sovrastare la città.
Il primo re d’Italia svetta dalla cima delle colonne, è mattina: raggi di Sole provano a bucare la coltre cercando di illuminare ciò che non si dovrebbe vedere.
Un cadavere, sfigurato, irriconoscibile: “Monsù?!” grida il giovane mattiniero in quel silenzio, quel silenzio in cui tutto il resto ancora riposa prima della sveglia collettiva. La parola rimbomba.
Non risponde e mai più risponderà: a stento si riconosce una fisionomia umana sotto una maschera di sangue, pezzi di carne.
Una scia rossa ne descrive la direzione d’arrivo.

Due movimenti visivi antitetici si presentano nell’opera: uno verso l’alto, richiamato dalla verticalità del monumento; uno verso il basso, a focalizzare il centro della scena rappresentata, la vittima.
Il contrasto tra i due si incrocia con la prospettiva della costruzione urbanistica, come a creare un mirino, un incrocio ottico, dove la longitudine si stacca dal centro della composizione, mentre la latitudine schiaccia lo sguardo verso il basso a sottolineare il peso soverchiante della barbarie, del suo risultato.
Il colore è il collante temporale, fra ieri e oggi. Un passato grigio, con un ricordo che sboccia al suo interno come un fiore maligno, con un monito: “Ricordate”.
I fili del tram contribuiscono al senso di oppressione con il sopraggiungere di tre corvi che sembrano diretti sulla scena a far collassare quel fragile equilibrio di frana.
Le finestre sono vuote e si aprono su oscure stanze.

Astratti